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Chat Signal, ecco cosa conta davvero dello scambio Vance-Hegseth

Due visioni profondamente diverse della politica estera e degli interessi Usa. Ma ancora una volta hanno ragione a considerare gli europei “scrocconi”. I leaks di Biden più gravi

Hegseth Vance (WH, Ytube)
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Ovviamente la diffusione dei contenuti di una chat di Signal in cui i vertici della sicurezza nazionale Usa discutevano di imminenti attacchi contri obiettivi Houthi nello Yemen è stata una grave falla e una prova di incompetenza. Giustamente il direttore della CIA John Ratcliffe e la DNI Tulsi Gabbard sono stati messi sulla graticola ieri dalla Commissione Intelligence del Senato e probabilmente verrà condotta un’indagine delle competenti commissioni del Congresso.

Caso gonfiato

Per errore – pare dello staff del consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz – è stato aggiunto nella chat il direttore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg, uno dei giornalisti più ostili all’amministrazione Trump, il quale ha pubblicato alcuni scambi tra i partecipanti ma soprattutto affermato che nella chat sono transitati piani molto dettagliati degli attacchi (obiettivi, tempistiche, sistemi d’arma), che per senso di responsabilità non ha divulgato nel suo articolo.

“Non sono stati discussi piani di guerra” e “nessun documento classificato è stato condiviso” nella chat, ha smentito la Casa Bianca, aggiungendo che Goldberg è “famoso per le sue forzature sensazionalistiche”. In effetti, non si può escludere che il giornalista abbia colto l’occasione per arrecare il maggior danno possibile all’amministrazione, esagerando l’importanza dei contenuti che gli sono passati davanti agli occhi e rivelando la fuga di notizie alla vigilia delle audizioni di Ratcliffe e Gabbard. Nel suo articolo, in ogni riferimento ai contenuti a suo avviso classificati che sarebbero stati condivisi nella chat ha premesso la parola “presumibilmente” – documenti presumibilmente classificati.

Il presidente Donald Trump ha minimizzato, la presenza di Goldberg non ha avuto “alcun impatto” sull’operazione militare, e difeso Waltz (“ha imparato la lezione ed è un brav’uomo”). Come è potuto accadere che il giornalista venisse inserito nella chat? “Era una delle persone di Michael sul telefono. Un membro dello staff aveva il suo numero lì”, ha chiarito.

Il caso sembra chiuso, ma resta il senso di una pericolosa ingenuità e un certo dilettantismo.

I “leaks” di Biden

Va detto a onor di cronaca che leaks riguardanti questioni militari e di sicurezza nazionale si sono verificati anche durante la presidenza Biden, mentre non viene mai ricordata abbastanza la decisione dell’amministrazione Obama di concedere autorizzazioni di sicurezza a personaggi legati al regime iraniano. Senza voler risalire al caso Emailgate in cui fu coinvolta Hillary Clinton (migliaia di email di lavoro transitate sul suo server di posta privato e distrutte, una decina sicuramente classificate), infine “graziata” da una FBI e un Dipartimento di Giustizia “amici”.

Basti ricordare il più recente e clamoroso dei leaks di Biden, la diffusione nell’ottobre scorso di documenti classificati relativi all’attacco di ritorsione di Israele contro l’Iran. “Siamo profondamente preoccupati e il presidente rimane profondamente preoccupato per qualsiasi fuga di informazioni classificate. Non dovrebbe accadere ed è inaccettabile quando accade”, fu costretto ad ammettere il portavoce della sicurezza nazionale John Kirby, riferendo di un’indagine del Pentagono.

Rimane il dubbio, però, che in diverse occasioni l’amministrazione Biden abbia deliberatamente anticipato a Teheran gli attacchi americani contro le milizie filo-iraniane in Iraq e nello Yemen, e quelli israeliani, per ridurre il rischio di escalation. Tanto che per alcune operazioni importanti, come l’uccisione del leader di Hezbollah, il governo israeliano ha ritenuto di tenere all’oscuro Washington.

L’errore del team di sicurezza di Trump è stato accidentale e interno, il sospetto è che i leaks di Biden e Obama non fossero errori e a beneficiarne non è stato un giornalista per una polemica interna, ma stati e gruppi nemici degli Stati Uniti.

Lo scambio Vance-Hegseth

Ma più dello “scandalo”, qui ci interessa l’analisi politica. Riteniamo più significative le indicazioni sulla visione politica e la dialettica tra le diverse anime dell’amministrazione Trump che si ricavano dalla chat, in particolare da uno scambio tra il vicepresidente J.D. Vance e il segretario alla difesa Pete Hegseth.

Gli screenshot ci restituiscono uno spaccato delle discussioni interne al team di sicurezza nazionale poco prima di eseguire un rapido attacco di ritorsione contro un nemico esterno.

Europei scrocconi

Tutto quello che i nostri media e politici hanno saputo ricavare dallo scambio Vance-Hegseth è un “oddio, allora è vero, ci odiano proprio”. Quello che è stato raccontato come un attacco gratuito e generico all’Europa è in realtà, ancora una volta, un malcontento più che fondato, che si basa su un’amara ma incontestabile constatazione: la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso è interesse prioritario, vitale diremmo, degli europei, eppure questi non hanno mosso un dito contro gli Houthi, che in questi mesi hanno deviato circa il 70 per cento del traffico commerciale, limitandosi ad una missione difensiva delle navi in transito che non ha avuto alcun effetto di deterrenza. Meritandosi quindi, anche questa volta, l’appellativo di “scrocconi”.

Nella chat il vicepresidente Vance ha sostenuto che il blocco del Mar Rosso causato dai continui attacchi Houthi sia un problema dell’Europa, non dell’America, ed è preoccupato che il pubblico americano non comprenda:

Penso che stiamo commettendo un errore. Il 3% del commercio statunitense passa attraverso Suez, contro il 40% del commercio europeo. C’è un rischio reale che il pubblico non capisca questo o perché è necessario. La ragione più forte per agire è, come ha detto il presidente, inviare un messaggio. Non sono sicuro che il presidente sia consapevole di quanto ciò sia incoerente con il suo messaggio sull’Europa in questo momento. C’è un ulteriore rischio che assisteremo ad un picco da moderato a grave dei prezzi del petrolio. Sono disposto a sostenere il consenso del team e a tenere per me queste preoccupazioni. Ma c’è un forte argomento per ritardare di un mese, fare il lavoro di comunicazione sul perché è importante, vedere come va l’economia, ecc.

Hegseth risponde di comprendere il punto di vista del vicepresidente, ma spiega gli interessi strategici alla base della decisione:

Capisco le tue preoccupazioni e ti sostengo pienamente nel sollevare la questione con il presidente. Considerazioni importanti, la maggior parte delle quali è difficile sapere come evolveranno (economia, pace in Ucraina, Gaza, ecc.). Penso che la comunicazione sarà dura in ogni caso, nessuno sa chi sono gli Houthi, motivo per cui dovremmo concentrarci su: 1) Biden ha fallito e 2) l’Iran ha finanziato. Aspettare qualche settimana o un mese non cambia sostanzialmente il calcolo. Due rischi immediati nell’aspettare: 1) la notizia trapelerà e sembreremo indecisi; 2) Israele agirà per primo – o il cessate il fuoco di Gaza crollerà – e non potremo iniziare alle nostre condizioni. Siamo pronti a eseguire, e se avessi l’ultima parola per il via libera o il non via libera, credo che dovremmo farlo. Non si tratta degli Houthi. Io lo vedo come due cose: 1) ripristinare la libertà di navigazione, un interesse nazionale fondamentale; e 2) ristabilire la deterrenza, che Biden ha distrutto.

Interviene quindi il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz a chiarire ulteriormente:

Che sia adesso o tra diverse settimane, dovranno essere gli Stati Uniti a riaprire queste rotte di navigazione. Su richiesta del presidente, stiamo lavorando con il Dipartimento della Difesa e il Dipartimento di Stato per decidere come compilare i costi associati e addebitarli agli europei.

Quindi lo scambio più riportato tra Vance e Hegseth.

Se pensate che dovremmo farlo, facciamolo. Solo che odio dover salvare di nuovo l’Europa. Solo assicuriamoci che il nostro messaggio qui sia coerente. E se c’è qualcosa che possiamo fare in anticipo per minimizzare i rischi per gli impianti petroliferi sauditi, dovremmo farlo.

Condivido pienamente il tuo disgusto per gli scrocconi europei. È patetico. Ma Mike ha ragione, siamo gli unici sul pianeta che possono farlo. Nessun altro si avvicina nemmeno. La questione è il tempismo. Penso che questo sia il momento migliore, data la direttiva del presidente di riaprire le rotte di navigazione.

Infine, il consigliere della Casa Bianca Stephen Miller:

Da quanto ho sentito, il presidente è stato chiaro: via libera, ma chiariremo presto all’Egitto e all’Europa cosa ci aspettiamo in cambio. Dobbiamo anche capire come far rispettare tale requisito. Ad esempio, se l’Europa non ricompensa, allora cosa? Se gli Stati Uniti ripristinano con successo la libertà di navigazione a caro prezzo, dev’esserci un qualche ritorno economico.

Due sono le indicazioni da trarre da questo scambio. Primo, c’è un consenso unanime nel ritenere gli europei degli scrocconi. E qui c’è poco da discutere. Come abbiamo spiegato, hanno ragione. Gli alleati europei dovrebbero essere in prima linea, al fianco degli Usa, nell’attaccare gli Houthi e ripristinare la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso, anzi dovrebbero averlo già fatto, ma hanno troppa paura di entrare in rotta di collisione con il regime iraniano, verso cui hanno sempre mostrato una comprensione ai limiti della complicità.

Due visioni di politica estera

Secondo, mentre i media presentano Vance e Hegseth come allineati nel loro “odio” nei confronti degli europei, in realtà non deve sfuggire come almeno in questa chat esprimano due visioni profondamente differenti della politica estera e degli interessi Usa.

Il segretario alla difesa ha ben chiaro cosa va fatto per preservare la leadership globale Usa. Lo dimostra quando osserva che “non si tratta degli Houthi“, ma (1) di “ripristinare la libertà di navigazione, un interesse nazionale fondamentale” e (2) “ristabilire la deterrenza, che Biden ha distrutto”, mostrandosi consapevole che “siamo gli unici sul pianeta che possono farlo”.

Il vicepresidente sembra ignorare l’importanza della libertà di navigazione e della deterrenza come pilastri della leadership Usa: o è troppo inesperto per rendersene conto, o non è interessato a preservarla, o addirittura è ideologicamente contrario ad essa, andando a convergere negli esiti, se non nelle intenzioni, con quella corrente radicale ormai maggioritaria nella sinistra americana, che ha condizionato la politica estera delle presidenze Obama, secondo cui l’influenza americana nel mondo è negativa ed è all’origine di tutte le crisi.

C’è da augurarsi che la visione di Hegseth sia maggioritaria all’interno dell’amministrazione, e condivisa dal presidente Trump – così sembra finora – ma Vance è il vicepresidente, non un funzionario di secondo piano, e figura di riferimento del movimento MAGA.